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Cattolici Genovesi




















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GENOVA


L'ARTE A GENOVA


 




GENOVA, CITTÀ DI NAVIGATORI E MERCANTI

PREMESSA:

E' opinione diffusa che l'Arte del lavorar l'oro e l'argento sia un'arte minore rispetto alle Grandi Arti: é un grave errore, perché lei è proprio l'unica che possa esprimere la Storia, la vita, l'anima, la sensibilità, le abitudini di ogni popolo nel suo continuo e diverso manifestarsi delle generazione.
Anche gli Orafi e Argentieri Genovesi sono stati, durante i secoli, fedeli, attenti e attivi testimoni della STORIA di GENOVA, esprimendo e dimostrando nelle loro opere come i Genovesi, considerati da sempre, e a torto, rudi, gretti poco sensibili al bello, all'arte, alla raffinatezza, siano stati, invece, sempre attenti, sensibili, aperti ad ogni espressione del bello e dell’arte e ambiziosi di ornare la propria casa e le proprie donne con oggetti veramente raffinati: committenti precisi ed esigenti, amabili e squisiti anfitrioni e "padroni di casa".
Gli Orafi e Argentieri Genovesi furono sempre orgogliosi di lavorare per loro e per loro realizzarono oggetti stupendi.

I Genovesi, è noto, sono stati mercanti e navigatori e la loro principale attività si è indirizzata sul mare e per mare. Un "cocktail" di qualità, capacità, intraprendenza e coraggio li portò fino ai più lontani paesi dell'Oriente, alla corte dei Sultani e del Gran Khan, dove seppero tessere intensi rapporti di commercio e di interessi dal Mar Mediterraneo all'Estremo Oriente.

Riuscirono anche a far perno su attive città costiere del Mar Nero e del Mar Caspio, da Pera a Galata, Trebisonda, Caffa, Mangu fino alle foci del Danubio e del Dniester e sempre in modo pacifico e proficuo per tutti Carpentieri e marinai genovesi lavoravano per la flotta del Sultano di Bagdad e montavano le navi imperiali tartare sul Golfo Persico; altri, sulle colline attorno a Crimea insegnavano agli indigeni a coltivar la vite. Siamo in pieno secolo XIII.

Nelle città nominate, come in altre situate sulle rotte, i Genovesi crearono, con transazioni pacifiche o privilegi e benefici delle autorità locali, delle basi dette "fondaci", di enorme importanza perché servivano da alberghi e da deposito delle merci, custodito e sicuro. Da qui la necessità di un contatto ininterrotto tra fondaci e Genova e di una efficiente "flotta armata" di galee rapide e mobilissime. Sorse, cosi, a Genova una nuova attività di artigiani per fabbricare quanto essenziale alla navigazione ed alla guerra. E iniziò pure l'attività degli "scutai et spatai", per fornire armi al "corpo di difesa" dei mercanti, sempre più ricchi e potenti. E gli stessi "scutai et spatai" - essi pure forti e indispensabili - si associarono in una delle prime "Corporazione" della Storia genovese e della Storia stessa. Anno 1235.

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ORIGINI DELL'ARTE DEGLI ORAFI ARGENTIERI A GENOVA

I FRAVEGHI

Attraverso i contatti con i paesi al di là del mare i naviganti genovesi ebbero modo di avvicinare, incontrare e conoscere popoli e mondi assai diversi per usanze, abitudini, forme di vita e di pensiero. Rimasero indubbiamente stupiti dallo sfarzo del mondo, bizantino, affascinati dalle Corti dei Sultani dalle loro abitudini raffinate, dall'uso di oggetti meravigliosi.
Ne subirono il fascino, ne respirarono l'atmosfera. Lo splendore delle gemme, lo sfavillio di ori e di smeraldi, la grazia degli oggetti incastonati di pietre nobili colpirono non solo gli occhi ma, nel profondo, anche l'animo, lo aprirono è lo affinarono a nuove realtà di eleganza e di bellezza.

Di qui sorse, lentamente, il desiderio di imitarli, cosa del tutto impensabile all'inizio delle loro imprese d'oltre mare. L'animo genovese però, incline alla semplicità ed alla praticità, si espresse in modo personale e in piena coerenza con se stesso. Disse "sì" alle cose belle d'oro e di argento, "no" a quel profluvio di perle, di pietre e di gemme policrome, di smalti, trafori, arabeschi. Ne scaturì, un "tono", uno "stile", un'"arte" tutta genovese basata sul valore o "titolo" del metallo, sulla praticità ed il peso.

Cominciò cosi l'attività degli argentieri genovesi e sorsero le prime "botteghe" nella zona di San Matteo, di Soziglia e poi nella via che prese il nome emblematico di Via Orefici. La piccola piazza centrale della zona venne chiamata "Campetus Fabrorum", cioè Campo dei Fabbri.
Il termine "Fabrorum" si trasformò presto in "fravorum", forse più facile a dirsi e poi in quello definitivo di "FRAVEGHI", gli argentieri di Genova, termine che rimase ininterrottamente nei secoli sino al 1950 circa.

La Seconda Guerra Mondiale portò via anche quello. Il termine "fabrorum", termine latino, significa "dei fabbri" e deriva da "faber", cioè "artigiano", che "fabbrica", crea, lavora materie nobili con le proprie mani.

I fraveghi formarono ben presto la loro "Corporazione", (anno 1248) per collaborare meglio fra loro, aiutarsi a vicenda, difendere i propri diritti e sancire i propri doveri; stesero il loro "Statuto" e scelsero come "Patrono" un santo argentiere: Sant'Eligio da Tours, patrono degli argentieri di Francia. La chiesa di N.S. delle Vigne fu la sede della corporazione. Ancora oggi esiste il suo altare:
il secondo della navata a sinistra. La festa di Sant'Eligio, giorno di gioia e di riposo, fu stabilita il 1 Dicembre, presenti tutti in chiesa, maestri, garzoni, apprendisti, poi al pranzo sociale con la "farinata", piatto tipico di Genova, e allegre bevute del frizzante "Bianco" di Coronata.


IL MARCHIO "TORRETTA"

E' utile sapere che i due metalli preziosi, oro e argento allo stato puro, detto anche "fino", non possono essere lavorati perché troppo deboli e devono essere rinforzati con un metallo forte, nel loro caso il rame, tramite una fusione detta "lega". Da questa fusione si ricavano dei piccoli blocchi di metallo, detti "lingotti"con i quali si possono fabbricare gli oggetti, nei quali il "metallo puro " è solo una parte del "peso", il totale è quello della "lega".
Il rapporto tra il peso del metallo fino e quello della lega è il "TITOLO". Il "titolo" "800/1000" che vediamo sugli oggetti d'argento indica che il metallo è formato da 800 gr. di argento su 1000 gr; di lega e 200 gr. di rame. Il "titolo" veniva ricavato, in passato, attraverso prove sperimentali di natura chimica assai complessa (detta "saggio") sul lingotto. Se il "titolo" era basso, cioè presentava più rame e meno argento, l'oggetto veniva sequestrato e gettato nel crogiolo comune, il "fravego" responsabile era diffidato e, se recidivo, punito.
Il compito di tale operazione era affidato a due maestri del mestiere, scelti dalla "Corporazione" per la serietà e l'abilità di lavoro, i quali dovevano avere anche una certa esperienza nel campo dell'alchimia (la chimica del tempo)
Il "titolo" doveva (e deve) essere - sempre - impresso sugli oggetti attraverso un "marchio" impresso in modo evidente sul metallo; il marchio per l'argento è detto propriamente "PUNZONE". Il "punzone genovese è stato il "TORRETTA" famosissimo attraverso i secoli, scelto dai fraveghi nel lontano 1248; rappresenta un castello "stilizzato" con due torri laterali, forse l'antico "Castrum Romanum" sull'altura di Garzano, a Genova. Era già impresso sul "genoino" la moneta d'argento dei Genovesi Il punzone "Torretta" fu, per secoli, uno dei simboli più prestigiosi della "Gloriosa Repubblica di Genova".
Venne soppresso nel 1824 da Carlo Felice "Duca di Savoia", "Re di Sardegna". Fu "uno schianto" per Genova.



L'URNA DELLE CENERI DI SAN GIOVANNI BATTISTA

Essa costituisce una delle espressioni più grandi dell'arte genovese e venne realizzata nel 1483 per volere del Doge Paolo Fregoso che fu uno dei più potenti, astuti, imprevedibili personaggi del tempo. Con la sua abilità era riuscito a rimanere a lungo "sul trono" e a domare la nobiltà sempre più furente. Fiutando il pericolo imminente, cercò di coglierla di sorpresa con una abilissima trovata, accattivarsi il favore del popolo donando alla città un’opera che poteva essere gradita.
Un’"urna superba" per le ceneri dì San Giovanni Battista, portate a Genova dai Crociati. Affidò l"'incarico ai fraveghi migliori del tempo, tra cui Teramo Danieli e Simone Caldera. L'opera riuscì stupenda! Essa ebbe il pregio di saper fondere armoniosamente tendenze artistiche coeve di altre scuole europee e in modo così valido da creare un proprio corpo con una propria fisionomia: un vero capolavoro!
Ancora oggi essa possiede una grandissima carica di solennità e misticismo che lo scorrere del tempo non riesce ad alterare.
Naturalmente, fu un trionfo per Paolo Fregoso, che rimase saldo sul trono con l'appoggio incondizionato del popolo. In più, istituì - il 24 Giugno - "La Festa" di San Giovanni Battista, civile e religiosa,e volle in tal giorno una grande processione che si rinnova ancora ai nostri giorni. I fraveghi ebbero l'onore di scortare l'urna con lo "spadino": un grande onore perché lo spadino era riservato soltanto ai nobili.




I PIATTI DA PARATA - I PIATTI DI NATALE - I PIATTI DA PARATA

Questi "Piatti" furono molto in auge nel "Cinquecento", tra le consuetudini, la moda, le relazioni politiche del tempo. Venivano consegnati in pubblico con un solenne cerimoniale costituivano un ambito riconoscimento di meriti e di valori.
Spesso celebravano glorie di famiglia e venivano sistemati e superbamente esibiti nel sontuoso "corredo" degli "argenti domestici" sugli intarsiati cassettoni o sulle famose piattaie, create "ad hoc". Di qui il termine specifico dì "Piatti da Parata".
Erano oggetto di grande effetto per le dimensioni, il peso, la bellezza.
Lo scambio e il dono dei "Piatti" costituì una moda molto diffusa e riscontrabile un po’ dovunque nell'ambito del mondo rinascimentale. Erano, soprattutto, di maiolica. Genova li volle d'argento.
Tra i più belli e famosi: "Il Piatto e la Brocca Lercari", creati da Antonio de Castro nel 1565 per la nobile famiglia Lercari, che celebrano l'impresa del loro antenato, eroe di Trebisonda. (Collezione Cini - Venezia)
Un altro capolavoro è "La Partenza di Colombo", realizzato da Mathias Melin (1630) per la nobile famiglia Spinola che vuole offrirlo agli Ambasciatori di Spagna, di passaggio a Genova. Il soggetto è squisitamente diplomatico e mette elegantemente in rilievo che "Colombo è Genovese".
Il "Piatto" è stato gentilmente donato dal Marchese Spinola alla Città di Genova (1968) e si trova a Genova, nella Galleria Nazionale di Palazzo Spinola.



I PIATTI DI NATALE


Dai Piatti da Parata si passa ai Piatti di Natale, che costituiscono non solo la continuità della tradizione dei "Piatti" ma rappresentano una delle realtà più suggestive della vita genovese e delle sue argenterie.
Sono chiamati "Piatti di Natale" perché venivano utilizzati nel periodo natalizio e destinati a svolgere un ruolo importante e gioioso nelle feste natalizie. Le dimensioni erario varie, partivano da 100, 110 cm. di diametro nelle cerimonie ufficiali del periodo, al Palazzo Ducale, per "offrire lo champagne" alle autorità locali e straniere presenti in città. Erano come magnifici vassoi, lisci e lucidissimi sui quali brillavano le coppe di champagne. Erano portati da eleganti valletti, tutti in bianco e lo spettacolo era così affascinante che meravigliava e stupiva tutti. In privato, i "Piatti" erano di minor dimensioni secondo la posizione sociale e la situazione economica, ma non mancavano.
Servivano per. presentare le "piramidi" ed i "coni" di frutta; in genere esotica e i tipici dolci natalizi come il pandolce. Ci voleva molta abilità per creare capolavori del genere e sistemare sulla sommità piccole figurine d'argento, come "Gesù Bambino", La "Sacra Famiglia", "I Re Magi" o una stella.



I "CRISTI" - I "CANTI" - GLI "INRI"


Questi oggetti hanno rappresentato espressioni molto vive del costume e della religiosità popolare genovese. Sono stati occasioni di sfida tra i fraveghi per realizzare i "Canti" più belli e, nello stesso tempo, occasioni di contesa tra le potenti "Confraternite" del passato. I "Cristi" consistevano in una grande Croce dì notevole dimensione e sempre incrostata di ornamenti di "tartaruga" e di decorazioni d'argento come pampini, grappoli d'uva, spighe di grano: tutti simboli religiosi.
L'immagine di Gesù Crocifisso era sempre scolpita in legno pregiato, resistente al tarlo, come il cirmolo e il giuggiolo; fattore importantissimo di prestigio delle "Confraternite" era l'artista. I "Crocifissi" più belli rimangono quelli di Domenico Bissone, A.Maria Maragliano, Giacomo Pittaluga.


I così detti "Cristi" avevano, come altro punto focale oltre il "Crocifisso", i famosissimi "Canti", cioè la parte finale dei "Bracci" della croce: in genovese, "cantu" vuoi dire "angolo" - La sagomatura dei "Canti" poteva essere un triangolo, un ovale, un rombo ,un ventaglio, una forma di "lira" su, cui si applicava un rivestimento d'argento o dì metallo argentato.
I "Canti" venivano poi arricchiti con ornamenti leggeri, foglie e fiori, applicati in modo da oscillare durante il trasporto, fatto dai "Cristezzanti", i famosi portatori di un peso enorme. L’"I.N.R.I." rappresentava il cartello che Ponzio Pilato aveva fatto mettere sulla Croce di Cristo; era in latino e significava: "Jesus Nazarenus Rex Judeorum". Sull'"INRI" era concentrata la sacralità e il valore del sacrificio di Cristo e suscitava sempre venerazione e commozione.
Far concentrare nell’"INRI" la bellezza e l'attenzione fu oggetto di abilità e di fantasia da parte dei fraveghi. I "Cristi" venivano portati nelle processioni, tra le quali, e per prima, quella voluta dal Doge Paolo Fregoso, in onore di San Giovanni Battista.

Per chi volesse approfondire la materia, si consiglia di consultare i più prestigiosi cataloghi di "ARGENTERIA", italiani e stranieri, che presentano con grande rilievo i migliori esemplari degli oggetti sacri e profani del BAROCCO e del BAROCCHETTO GENOVESE: il periodo di maggior splendore dell’attività dei "FRAVEGHI" genovesi.


MARIA GISMONDI


 
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